Gli stati nazionali (e la cultura artificiale che gli stati nazionali hanno coltivato con amore) si attaccano con un po' di preoccupazione alla propria identità.
A volte violenti, a volte sarcastici, mancano però della consapevolezza che le nazioni come le conosciamo oggi sono finite o quasi.
Benché piccolina, sarà sempre meglio una Catalogna imbevuta della cultura internazionale di Barcellona, che l'arroganza spagnola di oggi
Charlie

Saturday, 8 November 2014
Monday, 29 September 2014
Vergonya
Rajoy, vergogna, anzi VERGONYA!
Dopo la mia cara Scozia, la discussione tocca la mia adorata Catalunya. Sembra un destino che mi ha fatto vivere in posti con un problema simile.
Può essere che i problemi siano simili, ma è chiaro che non sono simili le soluzioni: c'è chi vota e chi no.
E' chiaro (mi perdonino i miei amici Catalani) che non ho nessuna simpatia per chi vuole fare stati piccoli in un mondo globale, e che non ho nessuna simpatia per chi vede il mondo diviso in "noi" e "loro".
Ma credo che in questo momento chi vede davvero le cose così non sia tanto chi afferma una propria identità locale che si è cercato troppo a lungo di cancellare, ma chi si arrocca dietro il suo vecchio e potente Stato-Nazione, circondandolo di fossati di sacrali "non si può"... Ma perché? Perché no!
La storia fa giri strani, ed io che di identità ne ho personalmente poca, faccio fatica anche a dire dove deve (dovrebbe) andare. Mi perdoni ancora chi mi vuole perdonare: non so se il fatto che la Catalogna sia spagnola o non spagnola sia davvero un bene o un male. Ma chi se ne importa? Una cosa invece mi sembra chiara, che negare a sette milioni di Catalani il diritto di votare e di decidere è un male. E più ancora che "un male", è una stupidaggine che non funziona.
Forse Elisabetta può festeggiare(I mean the Queen), ma non è certo così che Rajoy risolverà il suo problema. Non a lungo per lo meno. Se poi qualcuno (o qualche molti) decideranno allora di dialogare in altro modo, avranno forse torto, ma che non si faccia la faccia sorpresa. E cosa si farà poi? Vedremo gli eserciti del Re di Spagna passeggiare per la Catalogna?
Che sciocchezza Rajoy... quina vergonya!
Thursday, 18 September 2014
la struttura del mio pensiero
Non sono solo le parole, sono anche le immagini. Le immagini mentali, non solo quelle stampate sulla carta o quelle fatte di pixels.
Questo planisfero è la mia prigione: questi spazi colorati, queste allegre bandiere mi sembrano una realtà. L'Austria ha più realtà della Sassonia, o della Pannonia. Trento è in Italia. Le Falkland sono Inglesi. L'Irlanda esiste, come l'Estonia, la Lettonia, la Lituania. Ma quando ero piccolo io no, non esistevano. La minuscola Andorra esiste, la Catalogna non tanto. Questa valle è di qua dal confine, quest'altra è di là. Di qua ho più diritti, di là ne ho meno.
Anche le statistiche sono inflessibilmente organizzate per Stati Nazionali.Uno di Gorizia fa media con un Palermitano, non con uno di Nova Gorica.
La mappa, una volta disegnata e stampata in milioni di copie, ha una sua propria forza e fa la storia. Però se la fa male le mappe si possono anche strappare, o cancellare, o correggere.
Diciamoci la verità: io la carta "politica" non la voglio più vedere. E' conservatrice ed è piena di errori. Datemi solo la carta "fisica", senza confini e con tanta gente che ci si muove sopra.
Wednesday, 17 September 2014
Flower of Scotland
Resta una notizia al terzo posto nelle pagine dei giornali perché le tranquille votazioni non fanno notizia. Se ci fosse stato almeno un morto allora... ma niente.
Come sempre dalla Gran Bretagna ci viene impartita una grande lezione di civiltà.
Thanks Elizabeth.
Wednesday, 10 September 2014
E il problema è che non ci si scappa: quando ho generalizzato, categorizzato e messo in ordine, poi le cose "vanno a posto da sole" e cambiare un pensiero è un lavoro difficile. I cassetti del mio ordine mentale hanno esistenza sostanziale; ancor di più quando sono condivisi con la nostra società, o quando sono ricevuti "con il latte" della mamma e ci cresciamo insieme.
Il mondo diventa quello che è perché lo guardo dal mio punto di vista. Però "non è un punto di vista" come se fosse determinato dal luogo in cui sono (e da cui quindi, in teoria, potrei anche spostarmi); quanto piuttosto un modo di vedere le cose che dipende da quello che sono (per cui, quindi, se anche mi sposto continuo a vedere tutto uguale o quasi)
E quindi sto lì, rigido come una "identità" e incapace di vedere il mondo dal "paradigma di vista" di qualcun altro. O meglio ancora di "nessun altro".
Il mondo diventa quello che è perché lo guardo dal mio punto di vista. Però "non è un punto di vista" come se fosse determinato dal luogo in cui sono (e da cui quindi, in teoria, potrei anche spostarmi); quanto piuttosto un modo di vedere le cose che dipende da quello che sono (per cui, quindi, se anche mi sposto continuo a vedere tutto uguale o quasi)
E quindi sto lì, rigido come una "identità" e incapace di vedere il mondo dal "paradigma di vista" di qualcun altro. O meglio ancora di "nessun altro".
Wednesday, 27 August 2014
Pensieri e Parole
Il linguaggio, com’è utile!.
Da una percezione della realtà vissuta, ad una realtà
comodamente inserita in pensieri definiti dal vocabolario, che se anche non
sappiamo cosa vogliono dire ce lo dice lui.
Le parole sono importanti: una volta uscite dalla bocca o
dalla tastiera assumono vita propria e non sappiamo più dire se le cose
esistono davvero o sono un sogno della nostra immaginazione.
Ma poi vediamo che le nostre parole hanno vita propria, e
non stiamo sempre lì a vedere se dietro alle parole c’è una realtà, e quale
realtà. Ci aiutano a mettere ordine nel mondo, e di ordine abbiamo tanto
bisogno! Per cui perché bisogna preoccuparsi. Ogni volta che mettiamo un
discussione l’esistenza o il significato di una parola, facciamo un guaio. La
certezza ci salta e dobbiamo rimettere tutto in ordine: quanta fatica!
Il linguaggio è strumento per comunicare, che sta per “mettere
in comune i nostri racconti”, i nostri pensieri, le nostre invenzioni: per
costruire una cultura comune.
Così in realtà di solito i pensieri non sono neppure i
nostri. Qualcun altro li ha pensati e ce li spiega, quando siamo ancora bambini
e abbiamo poca voglia di discutere. L’abitudine è forte e mettere in dubbio è
spesso innaturale.
E così attacchiamo utilissime etichette al mondo ed a noi
stessi che prendiamo molto sul serio. Ci immaginiamo cose e comunità, ci
immaginiamo fatti e valori, ci immaginiamo continuità e discontinuità, simboli
e rituali, fenomeni e noumeni, identità, noi ed altri.
L’importante è che non si mettano in pericolo i nostri
interessi, che non ci facciamo prendere
dalla paura e che non si acuisca quel bordone di disagio che ci accompagna ogni
giorno. E possiamo andare al bar a goderci un po’ di chiacchiere in un
linguaggio familiare che ci sembra di capire.
Noi “Italiani”… tutti al bar.
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